Nel 2019 l’Accademia di Belle Arti di Roma ha iniziato una collaborazione con Short Theatre, festival multidisciplinare che tutti gli anni, dal 2006, offre alla città un programma molto interessante di spettacoli, performance, installazioni, laboratori e concerti. Una grande occasione per gli artisti emergenti di incontrarsi, conoscersi e confrontarsi sui linguaggi innovativi della scena artistica europea ed extraeuropea.
Gli studenti dell’Accademia, in questa occasione, hanno partecipato a un workshop per la produzione di documentazione fotografica e video dell’intera programmazione del festival, lavorando fianco a fianco con gli artisti italiani e stranieri ospiti della manifestazione.
Negli anni successivi il festival ha deciso di includere l’Accademia anche nel suo programma di eventi ed esposizioni, a cominciare dalla sua 17esima edizione nel 2022. ¡VIBRANT MATTER! è stato il titolo di quella rassegna, dedicata ad analizzare la tematica del corpo, che è stato definito in questo contesto come “umano o non umano, fascio di relazioni col mondo, sistema aperto in continuo divenire — è il terreno per un lavoro di interferenze e fermentazioni, nella proliferazione di soggettività inesauribili. Gli spettacoli, le performance musicali, lo scambio di pratiche, gli incontri vanno alla ricerca di una materialità vitale che lega corpi e pensieri, per generare e di trasformazione, nell’accumulo e nella dispersione degli scambi”.
Su questo tema è nata Multiplo di tre, l’esposizione di tre ex allieve dell’Accademia selezionate da Cecilia Casorati e Luca Valerio. Lucia Bricco, Ola Czuba e Ambra Lupini hanno avuto la possibilità di presentare i loro lavori nell’area del Mattatoio – Spazio Pelanda per tutta la prima settimana del festival: dal 7 all’11 settembre.
A partire dall’utilizzo del video sono stati intrapresi tre percorsi di ricerca differenti, coniugando diversi linguaggi artistici e imponendo a favore di camera un punto di vista privilegiato rispetto all’atto performativo. In ogni opera il corpo dell’artista/performer/donna è stato posto in una relazione incerta con lo spazio circostante, portando a far coincidere l’essere con l’accadere.
Ecco i progetti presentati:
Lucia Bricco, Motivation Letter of a Young Artist
Lucia Bricco, Motivation Letter of a Young Artist – Video HD, 16:9, colore, sonoro, 4’34”, 2017
L’artista entra nello spazio trasportando un ingombrante trampolino dorato. Lo posiziona di fronte ad una statua monca, trasfigurata e logorata dal tempo. Sale sul trampolino e dritta di fronte a lei comincia a saltare guardandola negli occhi. Inizia un dialogo muto in cui a parlarsi sono i loro caratteri opposti. Si tratta di un grido contro l’immobilità e la durezza, un manifesto di intenzioni, una promessa di lotta.
Ola Czuba, Tableau I
Ola Czuba, Tableau I – video HD, 16:9, colore, sonoro, 12’, 2017
A partire dalle problematiche dell’identità di genere, il lavoro crea un contesto in cui si confrontano i sempre più sfaldati attributi tradizionali: il ruolo del faber è qui assunto dalla performer femminile, mentre la passività viene relegata al dominio delle figure maschili, ridotte tuttavia a una funzione puramente estetica.
L’azione performativa termina con una precisa composizione, una variazione sul senso dell’equilibrio, che trascende il concetto monolitico del ruolo di genere. Il confessionale in costruzione, oggetto centrale dell’inquadratura e simbolo dei luoghi di esclusione per la donna, definisce nel campo visivo una soglia di distacco, creando allo stesso tempo una zona di contaminazione.
Ambra Lupini, The Little Old Woman Who Used Her Head
Ambra Lupini, The Little Old Woman Who Used Her Head – video HD tre canali, 16:9, colore, sonoro, 6’30’’, 2018
Carmelo Bene, parlando di osceno – di cui era spesso accusato – lo definì come “os-skené”, ciò che è “fuori dalla scena”, ciò che non va rappresentato, che non va esposto in pubblico.
Nondimeno il suo principale intento artistico risiedeva proprio nello smarrirsi, nel perdere l’identità e il senso o, più semplicemente nel “non essere in scena”.
L’artista cancella l’identità e la sostanza dei luoghi, spogliandoli di ogni cosa che li rende riconoscibili L’azione, apparentemente assurda, di “svestire” i salotti, luoghi comunemente adibiti all’ospitalità, produce due possibilità opposte: da un lato crea più spazio, dall’altro nega l’accoglienza.
Articolo di: Chiara Picco