FulvioAbbate
Fulvio Abbate è uno scrittore e critico d’arte. È nato a Palermo nel 1956, e vive a Roma. Ha pubblicato i romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “La peste bis” (1997), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), “La peste nuova” (2020), “Lo Stemma” (2023).
E ancora, tra l’altro, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull’amore” (2018), “Quando c’era Pasolini” (2022), “Gauche caviar”, con Bobo Craxi, (2022), “L’amichettismo” (2023). Teledurruti la sua web-tv.
Come critico d’arte contemporanea si è occupato di avanguardie e di classici, scrivendo, tra l’altro, sull’opera di Mario Schifano, Yves Klein, Joseph Beuys Ettore Sordini, Piero Manzoni, Alighiero Boetti, Milan Kunc, Georges Wolinski. Nel 1991 ha inoltre curato una mostra di tavole originali del vignettista Benito Jacovitti, primo riconoscimento ricevuto in una galleria d’arte dal geniale fumettista italiano.
Nel 2022, in Francia, è stato nominato Officier de l’Ordre des Arts et des lettres.
Biennio Cinematografia e Spettacolo
Nell’ambito del corso di Drammaturgia Multimediale Fulvio Abbate ha cura di compiere un’inesauribile galoppata nell’iconosfera artistica visiva, cinematografica, filmica, televisiva, letteraria, storica, così da mostrare l’inesauribile “catasto magico” dell’espressione poetica in ogni sua forma, proponendo alla fine agli allievi la realizzazione libera di un proprio oggetto filmico attraverso il mezzo più immediato di cui chiunque si trovi in possesso: il cellulare.
Il tema cui ispirarsi è l’attesa, meglio, l’intervallo, il racconto della sosta, ciò che precede la creazione estetica stessa. Suggerendo di fare propria ciò che il teorico della “Nouvelle Vague”, Alexandre Astruc, definiva “caméra-stylo”, ossia, assodato come il cinema sia ancora legato a convenzioni figurative e tecniche standardizzate, giungere a una modalità flessibile e personale, in grado di rendere il mondo mentale del regista come la penna era in grado di descrivere il mondo mentale dello scrittore o del poeta (di qui l’espressione “caméra-stylo” cioè cinepresa-penna).
La semplificazione del modo di girare e di registrare le immagini consente al “regista” di compiere questo salto di qualità, usando il movimento di macchina come una penna o un pennello e dunque compiendo un vero e proprio gesto estetico.