Lectio Magistralis di Zehra Doğan
Avremo anche giorni migliori si sviluppa a partire dall’esperienza dell’artista Zehra Doğan. L’evento si terrà il giorno 26 gennaio a partire dalle ore 10 e si struttura in una lectio magistralis che si terrà in Aula Magna. Attraverso l’utilizzo di materiali non tradizionali, ci si propone di indagare il significato che assume oggi il corpo e di come esso, in particolare quello femminile, venga influenzato dal concetto di possesso.
In che modo mi relaziono col mio corpo soprattutto in un contesto estremo come una prigione? Come definisco la mia identità attraverso di esso? In che modo l’idea di possesso influenza le relazioni che si intrecciano tra il mio corpo e il corpo dell’altro? In che modo il sentito individuale si può connettere alle vicende collettive? Considerando la dimensione politica in cui si inserisce il lavoro di Zehra Doğan, nonché l’ecletticità dei mezzi espressivi impiegati, la conferenza punta ad analizzare i motivi che sottendono alla percezione del corpo come una prigione, come qualcosa che si ha e non come parte integrante del sé.
È attraverso un linguaggio artistico versatile come quello di Zehra Doğan, fatto di disegni, dipinti, performance, video, istallazioni, articoli di giornale, che si ha la possibilità di portare l’esperienza personale sul piano collettivo. La conferenza intende porsi come mezzo di discussione al fine di esplorare nuove possibilità creative e come mezzo di analisi e riflessione su tematiche di profonda attualità che si riflettono non solo sull’esperienza individuale, ma anche a livello globale, con particolare attenzione ai conflitti che affliggono il mondo contemporaneo.
Zehra Doğan: Artista ed attivista nata in Turchia, ma che si definisce curda, Zehra Doğan è stata arrestata ed imprigionata nel 2016 per via del dissenso politico espresso attraverso le sue opere. Accusata di fare propaganda per il PKK, in carcere si vede negata la possibilità di fare arte nella maniera tradizionale. Zehra Doğan, infatti, è riuscita a portare avanti la sua ricerca artistica nonostante la scarsa reperibilità di materiali e supporti per dipingere, attraverso l’impiego di tappeti, spezie, caffè, ma anche urina e sangue mestruale.
Le sue opere esplorano l’identità ed il corpo, inteso non come oggetto, ma come espressione dell’individualità di ciascun essere umano, in particolare di quella femminile. L’artista si interroga in particolare sui concetti di istinto e ambizione al possesso, collegandoli ad una dimensione al tempo stesso individuale e collettiva. Sono queste le dinamiche che generano situazioni di conflitto irrisolvibile, sia tra stati che tra individui.
Nel 2023 viene pubblicata in italiano la graphic novel Prigione No. 5, che raccoglie i disegni e le riflessioni prodotti durante la prigionia, che l’artista è riuscita a far uscire di contrabbando dal carcere di Diyarbakir dove era rinchiusa. Intervistata sul suo linguaggio artistico, Zehra Doğan sottolinea che è attraverso l’arte e i mate-riali che impiega che manifesta la sua resistenza. A partire da giugno, Prigione No. 5 entra a far parte della col-lana Mondo Graphic Novel, curata da la Repubblica, dedicata alle graphic novel più rappresentative degli anni 2000.
Per il coraggio dimostrato in ambito giornalistico, Zehra Doğan è stata insignita di diversi premi a livello internazionale. Tra questi si ricordano il Courage in Journalism Award nel 2018, il Freethinker prize nel 2017 ed il Metin Goktepe journalistic award nel 2015 per i suoi articoli sulle donne Yazidi in fuga dalla prigionia dell’ISIS.
Zehra Doğan ha inoltre visto esposte le sue opere d’arte in diversi paesi. Tra le mostre più recenti a cui ha preso parte vi sono: Les Maternités de A à Z, MUCEM, Marsiglia (2023); Observatory on Deculturalization, OXYD Kunsträume, Winterthur (2023); Splendid Isolation, SMAK, City Museum for Contemporary Art, Ghent (2023); En la selva eau mucho por hacer, curata da Maria Barrios per il Museo de la Solidaridad Salvador Allende, Santiago, Cile (2022); Beyond, alla Prometeo Gallery, Milano, 2020; Avremo anche giorni migliori, Opere dalle carceri turche, dalla quale questo workshop prende il nome, al Museo di Santa Giulia, Brescia, 2019; The Pencil Is a Key, Drawings by Incarcerated Artists, Drawing Center, New York.
Il suo impegno politico è stato riconosciuto ed apprezzato anche da due grandi artisti contemporanei. Nel 2018 l’artista britannico Banksy ha lanciato una campagna social a favore della liberazione dell’artista curda e parallelamente ha dipinto il Bowery Wall in un estro di solidarietà nei confronti di Zehra Doğan, ancora prigioniera. Nel novembre 2017 l’artista cinese Ai Weiwei ha pubblicato una lettera in cui esprimeva solidarietà nei riguardi della giornalista-artista incarcerata, paragonando la repressione dell’espressione artistica che avviene in Cina e in Turchia.
“In che modo il corpo è diventato una prigione per le donne, quando invece dovrebbe essere considerato una parte di ciò che siamo e non solo una forma di possesso? Come è stato possibile trasformare la biologia in ideologia? In che modo gli esseri umani, definendo sé stessi attraverso i loro corpi, si sono chiusi in norme sessi-ste?”
“Non capisco perché veniamo gettati in prigione. Ne usciamo ancora più forti.”
Ufficio Comunicazione dell’Accademia di Belle Arti di Roma
Coordinamento: Prof. Guglielmo Gigliotti g.gigliotti@abaroma.it
Collaborazione: Chiara Picco, Marianna Pontillo comunicazione@abaroma.it