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13 Marzo 2024
  • • Daily ABA

Alla voce del verbo abitare – ABA Roma ritorna a Short Theatre

13 Marzo 2024
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Dopo l’esposizione del 2022, “Multiplo di tre”, l’Accademia di Belle Arti di Roma ha nuovamente preso parte con entusiasmo a Short Theatre, festival multidisciplinare che tutti gli anni, dal 2006, offre alla città di un programma ricco e vario di spettacoli, performance, installazioni, laboratori e concerti.

Radical Sympathy è il nome dell’edizione di Short Theatre 2023, scelto per evocare una similitudine: Come l’inchiostro simpatico che porta a emersione qualcosa di nascosto ma già-da-sempre lì presente, nel festival affiorano accordi latitanti ed erranze radicate nell’adesso. Simpatia — è qui un percepire calamitante, impersonale, simile alla gravità, che porta le cose esterne a entrare, a confondere le acque, e a uscire per partecipare a nuove ondate di incontri. Un travaso di stati in un incessante dentro-e-fuori. La simpatia è radicale, perché è oltre noi, perché ci attrae in un altrove del giudizio, nell’accoglienza dell’insolito.

In questa occasione Giulia Barone, Tullia Nocca, Marco Pepi e Maria Giovanna Sodero, quattro allievi ed ex allievi dell’Accademia di Belle Arti di Roma, hanno esposto i loro lavori nell’area del Mattatoio – Spazio Pelanda per tutta la prima settimana del festival, dal 7 al 10 settembre.

L’esposizione, a cura di Ernani Paterra e Luca Valerio, è stata intitolata Alla voce del verbo abitare e ha interpretato trasversalmente il tema del festival, in una riflessione sul concetto di casa e di dimensione domestica:

àbito: s. m. [dal lat. habĭtus -us, der. di habere nel senso di «comportarsi»]
abitare: v. tr. e intr. [dal lat. habitare, propr. «tenere», frequent. di habere «avere»]

Questi due termini ed i loro significati si prestano a molte declinazioni possibili, che nei lavori in mostra hanno preso forme diverse attraverso i linguaggi artistici della fotografia e dell’audiovisivo: dal documentario all’atto performativo, dall’installazione all’utilizzo dell’archivio familiare.

L’uomo ama tutto ciò che serve alla sua comodità
e odia tutto ciò che lo infastidisce e vuole strapparlo dalla posizione sicura che ha raggiunto.
È per questo che ama la casa e odia l’arte.

(Adolf Loos, architetto)

Di seguito un racconto delle opere esposte attraverso le parole dei curatori e degli ex allievi coinvolti nell’esposizione:

 

Giulia Barone, Il vuoto è fertile

Giulia Barone, Il vuoto è fertile - Fotografie, installazione, dimensioni ambientali, 2022
Giulia Barone, Il vuoto è fertile – Fotografie, installazione, dimensioni ambientali, 2022

Seguire la nascita e il processo di evoluzione e trasformazione di una esistenza.
Con lo sguardo dell’entomologo, la macchina fotografica osserva e registra, nei 40 giorni necessari alla nascita di una farfalla, le apparentemente minime variazioni nella vita dei bruchi e la costruzione del bozzolo, habitat che protegge e consente il mistero della metamorfosi.
A quale scopo? Uno studio scientifico? Una classificazione? Una rappresentazione della vita in vitro?
Al termine del processo, come tracce di un percorso di nascita e morte fissate al muro con degli spilli, restano i bozzoli, come gusci vuoti disabitati, e 7×15 stampe fotografiche, sedimenti posti a testimonianza di una poetica archeologia esistenziale.

È possibile che durante l’esperienza alcuni bruchi o farfalle non completino la trasformazione. Può succedere, è il ciclo della vita.
La trasformazione è entusiasmante e destabilizzante al tempo stesso, necessaria.
Il vuoto è fertile verte in primis sulla presa di coscienza e sulla preparazione dell’arrivo del nulla. Il momento che posticipa un cambiamento e ne anticipa un altro. Si stanzia lì.
Il tempo necessario diviene condizione a priori così che il pieno (i fenomeni, le cose) possa esistere e operare.
In secondo luogo tratta di μίμησις: incapace di abbandonarmi al cambiamento e al fruire, mi rimetto a voi, regina della metamorfosi, vi imito. Insegnatemi a rispettare il tempo.

 

Tullia Nocca, Benvenuti a casa

Tullia Nocca, Benvenuti a casa - Fotografie, installazione, dimensioni ambientali, 2023
Tullia Nocca, Benvenuti a casa – Fotografie, installazione, dimensioni ambientali, 2023

Il più saggio dei tre costruì una casa con cemento e mattoni.
La storia e l’identità personale e familiare di ognuno si forma e si conforma all’ambiente circostante e le nostre storie individuali si sommano, senza alcun tipo di controllo e salvezza, all’aggressione del tempo e al deflagrare della Storia. Ma potremmo mai chiamare casa un edificio senza porte o senza finestre?
La fotografia come sguardo istantaneo e immediatamente retrospettivo, come strumento di certificazione provvisoria di esistenza individuale e collettiva. La sua manipolazione e il montaggio come tragica messa in discussione dell’apparente veridicità della memoria, della rassicurante solidità di ogni certezza, come tentativo di ricostruzione dell’evento a partire dalle macerie.
Then I’ll huff and I’ll puff and I’ll blow your house down – gridò il lupo.

Benvenuti a casa ha la sua origine all’interno di un archivio familiare, un percorso a ritroso tra memorie individuali e memorie, storie, collettive.
Lo stesso disordine dell’archivio invita una ricerca senza tregua di un senso, fino a far conoscenza e a volte comprendere dinamiche e tratti personali rimasti nascosti. Nella ricerca curiosa tra queste immagini, un ritratto di giornale dell’11 settembre entra nel processo per risignificare la percezione di quelle idilliache immagini familiari.
Questo processo segue le dinamiche dell’autoconstrucción proposte dall’artista Abraham Cruzvillegas. Si tratta di una metodologia che permette di prendere le distanze emotive dalla sfera personale e, attraverso delle azioni concrete agite sul materiale d’archivio, induce l’emergere dei significati inconsci.
Qui ha inizio una conversazione tra il personale e la tragedia, un dialogo serrato attraverso il quale i possibili significati esplodono e si amplificano a vicenda. Si scardina l’idea di archivio familiare come simulacro di culla protettiva e spazio salvo. La memoria domestica entra in collisione con l’evento storico che ha rivoluzionato il modo di percepire le certezze e le immagini del mondo contemporaneo. Tra le macerie delle nostre sicurezze diventiamo dunque spettatori della contrapposizione tra autocostruzione e distruzione, in un dialogo potenzialmente infinito. La casa diventa di tutti, binari non più paralleli si scontrano in un processo di opaca demolizione/ricostruzione. Quel che resta è una percezione inquieta e frammentaria emersa dal passato della proposta di nuovi destini possibili.

 

Marco Pepi, Pieghe del tempo

Marco Pepi, Pieghe del tempo - Video monocanale, HD, colore, sonoro, 7’, 2023
Marco Pepi, Pieghe del tempo – Video monocanale, HD, colore, sonoro, 7’, 2023

Una casa contiene una vita, l’amore, il passato, la guerra, troppo per poter essere raccontato, non con le parole che sempre tradiscono la memoria. Tanto vale osservare, restare in ascolto, raccogliere oggetti, sguardi, ricordi di altri e affidare al silenzio l’impressione di una condivisione.
Il tempo si addensa, raggruma in un dettaglio. Fuori campo la vita segue il suo corso, nel televisore altre storie, altre guerre perdono consistenza in un presente dilatato che assorbe ogni cosa, come se un’intera vita fosse condensata nell’attesa.

Mio zio Nunzio, 104 anni nella sua casa che racchiude i ricordi di una vita.
Gli oggetti che lo circondano sono testimoni silenziosi del tempo passato, i suoi sguardi penetranti narrano storie di altri tempi, episodi della sua gioventù ancora impressi nella sua mente.
Provo a catturare la personalità di un uomo che ha vissuto pienamente la sua vita, ricca di esperienze, e che offre uno sguardo indimenticabile sulla bellezza della memoria e dell’animo umano.

 

Maria Giovanna Sodero, La maison de Babel

Maria Giovanna Sodero, La maison de Babel - Video monocanale, HD, colore, sonoro, 9’40”, 2022
Maria Giovanna Sodero, La maison de Babel – Video monocanale, HD, colore, sonoro, 9’40”, 2022

Una casa mobile, senza radici, migrante, che si aggira in terra straniera, una casa di strada, che si abita come un abito, che si espone alla città e si nasconde, che incontra gente e si tiene a distanza, che protegge come il guscio di una lumaca e si perde, e si trova, e contempla.
Un’opera video a cavallo tra l’atto performativo, il documentario e la video arte. Filmata a Liegi alla fine della pandemia, si interroga poeticamente sull’abitare come portato di identità. I singoli individui come parte integrata (o forse no) di un tessuto sociale e culturale complesso, osservati con gli occhi della meraviglia.

È stato il mio segreto, ora sarà il vostro segreto.
Avete bisogno di me, più di quanto immaginate.
Mi cercate, mi osservate e mi giudicate, succede che mi scegliete e mi lasciate.
Non sempre potete permettervi di avermi.
Delle volte mi distruggono anche se voi non vorreste.
Innaffiate le piante rimaste vive dalle macerie, perché quello pensate sia l’ultimo legame che ci resta. Come può una pianta proteggerti dal vento?
Il confine che ci unisce lo scegliete voi, spesso è uno spazio piccolo, così piccolo che è un oggetto, siete buffi, ve lo portate dietro nella vita e avete sempre la paura che possa cadere e rompersi per sempre.
Memorizzate dei gesti, delle sensazioni cercando di riprodurle, senza mai lasciarle andare, perché sapete benissimo che qualcosa non tornerà, ma vi ha resi importanti per un momento.
Vi proteggo, perché da soli non sapete farlo, non potete, vi separo perché spesso se vi incontrate vi attaccate, siete fatti anche così.
C’è un momento in cui create, fate entrare la luce, mi scegliete anche per quello, scegliete una tenda rossa, per colorare i miei pavimenti, vi chiudete per ripararvi dal freddo, parlate arredando le mie stanze, spesso in modi che solo voi sapete comprendere.
Sapete sorridere, creare momenti che custodirete nel tempo. Sono proprio questi i momenti che lasciate a me, che lasciano il senso negli angoli, dove quella che costantemente provate a togliere pensate sia polvere.

 

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Articolo di: Chiara Picco